L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce suicidio «un atto dall’esito fatale, che viene deliberatamente intrapreso e portato a termine da una persona nella piena consapevolezza delle conseguenze definitive di un simile gesto».

L’OMS considera il suicidio come un problema complesso non ascrivibile a una sola causa o ad un motivo preciso, derivante invece da una complessa interazione di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali e ambientali. I dati Istat (2012) rilevano che il suicido è la seconda causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali (seguono le cadute accidentali e gli avvelenamenti).

Nel 2010 sotto i 25 anni sono 138 i casi di suicidio accertato: 111 maschi e 27 femmine. Il rapporto tra maschi e femmine è di 4 a 1 in tutte le età, ad eccezione della fascia di età 14-17 in cui il rapporto scende a 2 a1. Il 4-10% di tutti i tentati suicidi riguarda giovani al di sotto dei 15 anni ed il 54% persone al di sotto dei 24-25 anni, età quest’ultima considerata giovane-adulta, ma rientra nell’area adolescenziale per l’estrema frequenza di disarmonie evolutive nei giovani dal punto di vista affettivo ed etico, disarmonie che spesso si riversano sul corpo.

Soprattutto nei giovani possono emergere comportamenti che hanno a che fare con l’attacco al corpo: la tossicodipendenza, per certi aspetti, i disturbi alimentari, gli atti auto lesivi e i tentativi di suicidio sono tutte situazioni che hanno in comune la presenza di un’aggressività che si rivolge contro il Sé e che lo colpisce nella sua dimensione più concreta, quella corporea. La morte probabilmente già avvenuta nello spirito, si concretizza attraverso l’attacco al corpo, attraverso suicidi lenti o differiti.

Il suicidio non credo possa comprendersi sino in fondo per poter essere spiegato in maniera sufficiente secondo una legge causale che abbia una validità universale, possiamo solo cercare di ricostruire eventuali fattori di rischio, attraverso una analisi multidimensionale e multifattoriale a diversi livelli. Il giovane che tenta il suicidio può presentare un’alterata struttura di personalità, comportamenti dissociali, un’inadeguatezza dell’Io, rapporti interpersonali distorti e negli ultimi anni vi sono state ricerche che hanno dimostrato la correlazione tra gli elementi biologici con le condotte suicidarie, allo scopo d’individuare possibili indicatori connessi al fenomeno: risulterebbero bassi i livelli, nel tessuto cerebrale, di serotonina e del suo metabolita, l’acido 5-idrossi-indolacetico e, quanto evidenziato non è dissimile dai reperti rilevati nelle persone sofferenti di depressione.

Numerosi studi dimostrano che circa il 90% delle persone suicide presentava sintomi di una diagnosi psichiatrica (Organizzazione mondiale della sanità OMS2014), prevalentemente disturbi affettivi(depressione in primis), seguiti da dipendenze, disturbi della personalità e schizofrenia (Gysin-Maillart e Michel2013). In alcuni casi, e tra questi figurano molti giovani, una crisi suicidaria acuta non è riconducibile a una malattia psichiatrica, bensì a un forte stress psicosociale (Gysin-Maillart e Michel 2013).

I pensieri suicidari sono una risposta comune a un livello elevato di sofferenza. Porre fine alla propria vita è considerata una o la sola possibilità per uscire da una crisi. Le persone che sviluppano pensieri suicidari generalmente non vogliono morire, ma cercano una via di scampo. La maggior parte delle persone con malattie psichiche (o delle persone che attraversano una crisi psicosociale) non muore suicida. Il rischio di morire di suicidio è del 4% nelle persone con disturbi affettivi, del 7% nelle persone con dipendenza da alcol, dell’8% nelle persone che soffrono di disturbi bipolari e del 5% nelle persone affette da schizofrenia (Organizzazione mondiale della sanità OMS 2014).
Sento importante dire che affinchè una malattia psichiatrica o una situazione di stress psichico possa culminare in una crisi suicidaria devono subentrare altri fattori. Ribadisco pertanto che il suicidio (o tentato suicidio) è il compimento di un atto, non una malattia (Reisch 2012).
Ci sono fattori scatenanti?
Spesso la suicidalità è scatenata da situazioni traumatizzanti o da crisi legate a cambiamenti (per es. violenza, decesso del/della partner, di persone significative, crisi d’identità o umiliazioni). In alcune persone i pensieri suicidari maturano all’improvviso e con furia, ma svaniscono in modo altrettanto rapido. In queste persone vi è il rischio di un suicidio d’impulso, soprattutto se questo tratto del carattere è già presente nella persona. In altri il peso della sofferenza aumenta in modo lento ma continuo fino a raggiungere una soglia critica, altri ancora sono esposti costantemente a un rischio di suicidio elevato (Ajdacic-Gross 2015).
Solo una ridotta percentuale di persone con pensieri suicidari li mette in atto. Sotto il peso della sofferenza e in preda alla disperazione, un individuo può non essere più in grado di ragionare in modo lucido e spingersi fino a tentare il suicidio. Una crisi suicidaria acuta è dominata dall’idea che l’unica soluzione ai problemi sia di mettere fine ai propri giorni. Il peso della sofferenza impedisce di intravedere altre vie di uscita dalla crisi e di cercare il contatto con persone che potrebbero fornire aiuto. Spesso ciò che separa l’ideazione e la pianificazione del suicidio dal compimento del gesto estremo è la mancanza di controllo dei propri impulsi.

Dunque, i fattori di rischio possono essere sia individuali, che relazionali e sociali; sicuramente è da tenere presente se vi sono stati precedenti tentativi di suicidio, disturbi psichici (ad es. Disturbi gravi dell’Umore, Disturbi gravi di Ansia, Disturbi di Personalità ecc.), inadeguata gestione dello stress, predisposizione biologica, relazioni familiari disturbate, psicopatologia dei genitori, abusi sessuali e maltrattamenti, divorzi traumatici, isolamento sociale, cambiamenti a livello socio-culturale.

I fattori invece che possono far precipitare lo stato psico-emotivo della persona sono l’eventuale perdita di una persona significativa, di una cosa o di una situazione importante, un senso di totale impotenza, per esempio dopo aver subito una violenza fisica tutto può perdere senso, la perdita del posto di lavoro, la morte come ossessione, un pensiero che alloggia per troppo tempo nei pensieri può portare a sviluppare un’ossessione e che può divenire, come definisce Shneidman, un ‘tormento della mente’.

Possono essere ravvisati alcuni segnali predittivi, come pensieri e emozioni negativi verso se stessi, gli altri e la vita in genere, bassa stima di sè, autodenigrazione, affermazioni concernenti l’assenza di speranza, assenza di significato della vita, inutilità, impotenza, disperazione, rabbia, percezione che gli eventi siano catastrofici, lettura degli eventi come fatti personali, agitazione, scarso controllo degli impulsi, ridotta capacità di giudizio, allucinazioni concernenti il suicidio, senso di colpa, mancanza di progettualità per il futuro.

Nei giovani si potrebbe notare anche un cambiamento delle relazioni con i pari, del rendimento scolastico o universitario, comportamenti insoliti legati al sonno e all’alimentazione. Ritengo che il tentato suicidio e il suicidio possano essere compresi come estrema modalità di comunicazione dell’individuo verso il suo ambiente relazionale e sicuramente, come già detto, è necessario valutare accuratamente gli aspetti individuali, la personalità, lo stato di salute mentale, gli aspetti interpersonali e contestuali.

Secondo una teoria interpersonale, sono tre le variabili psicologiche che spingono alsuicidio:

  • La percezione di non appartenenza senza speranza di cambiamento
  • La convinzione di essere un peso per gli altri
  • Un ridotto timore della sofferenza fisica e della morte

Le prime due correlano con il desiderio di morire e sostengono un’ ideazione suicidaria di tipo passivo (ad es., ‘non valgo nulla’ o ‘sarebbe meglio se fossi morto’). La mancata soddisfazione del desiderio di appartenenza si accompagna ad un intenso vissuto di solitudine e ad un’esperienza di sofferenza riconducibile all’assenza di reciprocità, di cura e di affetto.

I conflitti familiari, la mancanza di un impiego e la presenza di malattie sono i principali fattori di rischio che conducono a credenze irrazionali come essere un peso per la propria famiglia o essere un componente sacrificabile. Quando la disperazione accompagna la mancanza di appartenenza e la percezione di essere un peso, allora il desiderio di suicidarsi aumenta.

Tuttavia, il desiderio di morire non è sufficiente a produrre un tentativo dagli esiti letali. Qui, infatti, entra in gioco la capacità di suicidarsi, che si compone anche di quelle esperienze di sensibilizzazione tese a diminuire la paura dei comportamenti suicidari (ad es., pregressi episodi di autolesionismo). Con esperienze di sensibilizzazione intendiamo quei comportamenti non letali che precedono un tentativo vero e proprio e che, grazie alle ripetute esposizioni al dolore, si configurano come una sorta di desensibilizzazione alla paura di morire e alla sofferenza fisica.

E’ possibile parlare di prevenzione? La prevenzione secondaria, individuando un disturbo, come ad esempio la depressione, già manifestatasi, lo si può trattare adeguatamente con interventi farmacologici, psicoterapici e supporti sociali in base alle necessità. Se invece parliamo di prevenzione primaria, ci si imbatte in una situazione più ardua, poichè significherebbe prendersi cura a monte dell’insorgenza della condizione di base che predispone al suicidio, ossia mettere in atto una profilassi precoce delle relazioni umane.

Sicuramente una sorta di prevenzione primaria può essere legata alla possibilità di espressione delle proprie emozioni e pensieri, ad esempio attraverso progetti psico-educativi a partire dalle scuole primarie e secondarie, che possano coinvolgere le famiglie e gli operatori. Parlare a scuola di suicidio permette ai giovani di esprimere i propri sentimenti facendo sentire i ragazzi a loro agio e rendendo più tangibile la possibilità di chiedere aiuto.

L’OMS cita, come fattori protettivi, solide relazioni sociali, religiosità e spiritualità, strategie di adattamento positive e la resilienza (Organizzazione mondiale della sanità OMS 2014). In generale, una buona salute mentale–intesa come un insieme di risorse individuali, sociali e di comunità – è considerata un fattore
di protezione (Bürli et al. 2015). Conoscere i fattori di rischio e di protezione consente di intervenire sul piano
della prevenzione. Nel caso dei suicidi, la prevenzione agisce sul contesto sociale (prevenzione strutturale) e sull’individuo (prevenzione comportamentale).

Ritengo che il rischio maggiore è proprio il silenzio! Infatti tra i fattori protettivi vi è sicuramente una buona relazione con la famiglia, dalla quale ci si sente sostenuti; buone abilità sociali, buona stima di se stessi, saper chiedere aiuto quando si presentano difficoltà, apertura e disponibilità a nuove conoscenze, esperienze e soluzioni; buona integrazione sociale ad esempio con gli amici, i colleghi di lavoro, dalla comunità di appartenenza.

Il mio invito è di parlarne! Parliamo della vita, della morte, della sofferenza, della gioia, delle paure…e di tutte le possibilità che possono esserci per viversi le proprie emozioni al meglio!

Non si è mai soli se si trova il coraggio di farsi aiutare!

Ti ringrazio se hai lettto sin qui…

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Maria bruno o Tra Corpo e Psiche

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Grazie!